Il Diamante è sinonimo di bellezza assoluta. Scopri la Storia del Diamante e quale ruolo ha giocato nella nostra storia.
I termini precisi attraverso cui questa bellezza si sviluppa non sono noti, ma parlare in termini assoluti è concesso in quanto questa pietra preziosa solo perché data dalla natura in un’oggettiva forma di per sé cristallinamente perfetta, risulta fra tutte in ogni tempo la più pregevole.
Non è noto, tra le altre cose, come nella storia dell’uomo si sia incominciato a parlare dei Diamanti e del loro valore, anche se si sa che non sono stati i primi preziosi ad essere raccolti in collezioni; infatti, questo primato appartiene alle Perle.
Il Diamante : Considerazioni Generali e Storiche
Le documentazioni oggi disponibili parlano solo di due siti geografici nel cui bacino il Diamante ha preso forma tradizionale, storica e infine commerciale: l’India e l’Africa australe, anche se già nella Bibbia se ne faceva cenno.
Per esempio, uno dei termini usati per indicare, nel libro dell’Esodo, datato come composizione circa al 1200 a.C., le pietre che ornavano il gioiello pettorale indossato da Aronne, yahalom, è tradotto con il termine “Diamante”, anche se si tratta di una semplice supposizione;
infatti, leggiamo un versetto del testo (Es 28,18):
… e la seconda fila dovrà contenere uno Smeraldo, uno Zaffiro e un Diamante.
Una cosa simile è ripetuta anche in Es. 39,11. In un altro libro della Bibbia, Geremia, composto presumibilmente intorno al 600 a.C., si legge (Ger 17,1):
… il peccato di Giuda è scritto con una penna in ferro con la punta di Diamante.
esso è inciso sulla tavola dei loro cuori e scolpito sui loro altari.
Però, ad oggi, la parola sopravvive ancora molto bene, vista la sua salda origine dal greco Adàmas e dal latino Adamus, fino ad Adamantinus e al nostro Adamantino; nel tardo latino si chiamava Diamans e Diamantem, dal significato di “invincibile”, molto simile a quello della radice ebraica yahalom.
Originariamente, e il tempo considerato si perde nelle brume dei secoli, i termini di cui abbiamo raccontato designavano il ferro per l’eccezionale robustezza e il Diamante, quale egregio sostituto, fa capolino solo nel secolo I d.C. E’ solo nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio che lo si trova da allora in poi inteso in questo modo.
Il termine Adàmas era infatti utilizzato dai greci per definire una lega di ferro molto resistente, tanto che il tragediografo Eschilo chiama così la catena del Prometeo incatenato e Virgilio definisce l’entrata dell’Averno come un solido Diamante.
Nell’opera A midsummer night’s dream William Shakespeare dice:
...tu mi attiri, Diamante dal cuore duro.
Geoffrey Chaucer, il primo grande poeta della letteratura inglese, nei suoi Canterbury Tales chiama Adàmas il ferro e Diamante le pietre preziose.
Lo studio e le innumerevoli dispute intorno al Diamante individuano l’India quale primo paese del mondo in cui se ne fosse in qualche modo avviata la produzione e il Taglio del Diamante, in particolare nell’antica regione dello Hyderabad e nel nord ovest;
dal punto di vista merceologico e mercantile tutta la conoscenza che possiamo avere di questo fenomeno ci proviene da un’opera, l’Artha-sastra, che in sanscrito, l’antica lingua degli indù, significa pressappoco “Dottrina delle cose utili” e il cui autore, Kautilya, ci fa conoscere le condizioni socioeconomiche dell’India del IV secolo a.C., Dove si trovano i Diamanti già in un epoca in cui già era non solo conosciuto, ma stimato;era perfino tassata l’Estrazione Diamanti quale notevole fonte di reddito per le classi abbienti.
Scoperta nel 1905, quest’opera è di fondamentale importanza anche per stabilire con maggiore precisione tutte le scale di valori cui il Diamante è stato soggetto nel tempo.
Oggi, in relazione ai fondamentali parametri di valutazione utilizzati nel settore diamantifero e riferendoci a varie fonti, possiamo attribuire al Diamante le seguenti proprietà:
- 1 Durezza (scala Mohs) = 10
- 2 Tenacità = molto buona
- 3 Stabilità = ottima, ad eccezione delle gemme irradiate
- 4 Possibilità di sofisticazione = trattamento con laser, rivestimento, sbiancatura
- 5 Reazione alla riparazione con fiamma = fare attenzione allo choc termico
- 6 Reazione alla lavorazione di incassatura = fare attenzione alle gemme con inclusioni in prossimità della cintura
- 7 Reazione agli bagni galvanici o acidatura = ottima
- 8 Reazione alla politura = ottima
- 9 Reazione agli ultrasuoni = buona per le pietre senza inclusioni
- 10 Reazione all’esposizione in vetrina alla luce naturale = buona
- 11 Reazione all’esposizione in vetrina alla luce artificiale = buona
- 12 Reazione all’esposizione in vetrina al calore = buona
- 13 Punto di fusione = 6900 gradi Fahrenheit (circa due volte e mezza il punto di fusione dell’acciaio)
Oltre a ciò, le normative UNI (Ente nazionale italiano di unificazione) 9758 definiscono il Diamante, chiamando così solo quello di origine naturale, come un minerale costituito da carbonio che cristallizza nel sistema cubico (Sez 2.1).
Il motivo fondamentale che sta alla base della considerazione dei Diamanti come oggetti di altissimo valore è da ricondurre al mito perché le caratteristiche che esso rivela una volta liberato dalla sua componente numinosa, cioè grezza, si possono definire con termini quali purezza, colore, fuoco, trasparenza e iridescenza, tutti sinonimi figurati di qualità morali, ottime qualora l’uomo le possegga.
Questa però è una componente intrinseca: verso il mondo esterno, invece, tali caratteristiche rivelano un essere luminescente, “che illumina l’orizzonte”, come si dice nel Ratnapariska di Buddhabhatta, un testo sanscrito di prima del sesto secolo, cioè una pietra che illumina il cammino.
Risulta chiaro che le componenti fondamentali e maggiormente appariscenti del Diamante sono state considerate dagli indù principalmente come forze di natura mistica, ben poco controllabili ma per questo giustamente considerate al primo posto nelle scale di valore di quella società. L’unica caratteristica del Diamante che non era possibile ascrivere all’ambito mistico era la durezza, tanto che fu esaltata dagli autori dei lapidari come formidabile nel taglio e nelle incisioni.
Nella Grecia antica il Diamante risulta praticamente sconosciuto. Questo perché non esiste una sola citazione attribuita agli autori greci sino a tutto il primo secolo a.C., ed è tutto quello che sappiamo.
Gli antichi greci credevano che i Diamanti , o le pietre grezze apprezzate come tali , fossero dei frammenti di stelle caduti sulla terra in tempi immemorabili; ci sono testimonianze greche datate in epoca romana che affermano essere i Diamanti le lacrime degli dei.
Questa però è una componente intrinseca: verso il mondo esterno, invece, tali caratteristiche rivelano un essere luminescente, “che illumina l’orizzonte”, come si dice anche nel Ratnapariska di Buddhabhatta, un testo di prima del VI secolo, cioè una pietra che illumina il cammino.
Risulta chiaro che le componenti fondamentali e maggiormente appariscenti del Diamante sono state considerate dagli indù principalmente come forze di natura mistica, ben poco controllabili ma per questo giustamente considerate al primo posto nelle scale dei valori di quella società.
L’unica caratteristica del Diamante che non era possibile ascrivere all’ambito mistico era la durezza, tanto che fu esaltata dagli autori dei lapidari come formidabile nel taglio e nelle incisioni.
Nella Grecia antica il Diamante risulta praticamente sconosciuto. Questo perché non esiste una sola citazione attribuita agli autori greci fino a tutto il secolo I a.C., e questo è tutto ciò che a oggi sappiamo.
I greci antichi credevano che i Diamanti , o le pietre grezze apprezzate come tali , fossero dei frammenti di stelle caduti sulla terra degli uomini da tempi immemorabili; ci sono testimonianze greche datate in epoca romana che affermano essere i Diamanti le lacrime degli dei.
Nel mondo romano antico, peraltro, il Diamante godette di alta fama. Molte credenze antiche sono state attribuite al Diamante; infatti si credeva che in sua presenza alcun maleficio avrebbe potuto toccare chi lo possedeva.
Inoltre, indossare un Diamante si riteneva potesse rendere invisibili: importanti e noti sono i richiami simbolici che descrivono gemme e diademi tempestati di Diamanti ritrovati nelle fiabe che ci sono pervenute dall’inizio del Medio Evo, lo stesso richiamo che descrive il Diamante che ornava la bellezza della fata Melusina.
Per lungo tempo, in specie fino a dopo il Rinascimento, fu solennemente vietato alle donne di indossare i Diamanti. In qualità di pegno di amore eterno la prima donna riportata dalla storia che lo ricevette in dono fu Maria di Borgogna.
La simbologia del Diamante è molto complessa: viene avvicinato per esempio come a una donna che impersona la Giustizia nell’ottavo arcano dei tarocchi, forse perché la giustizia deve essere dura ma nel contempo salda e trasparente.
Dai tarocchi all’astrologia il passo è semplice: l’ottavo arcano è avvicinato al segno della Bilancia, segno d’aria dominato da Venere la cui gemma di attribuzione è il Diamante.
Partendo di qui e andando indietro, molte sono state le fonti letterarie che hanno in vario modo parlato del Diamante, dal Romanzo di Alessandro, imperniato sulla vicenda bellica di Alessandro Magno in India, ai testi di Epifanio e dello pseudo, Aristotele, fino alle Mille e una notte e al Milione, per continuare in una vastissima disseminazione di espressioni teoriche non solo letterarie ma anche economiche e sociali.
Ritornando a Roma antica è Plinio il Vecchio, come dicevamo, che lo definisce per primo … e non solo tra le pietre preziose, è al Diamante che attribuiamo il maggior valore.
Un concetto di valore che non doveva dipendere certo dalle qualità di splendore o di luce della pietra , visto che a Roma le tecniche di taglio, anche le più rudimentali, non dovevano essere conosciute , ma dalle qualità magiche o supposte tali che la virtù immaginifica dell’uomo romano era in grado di attribuirgli.
Anche il termine Adàmas, da cui derivò poi la parola “Diamante”, designava qualche cosa di più che non un semplice oggetto fisico. Questo è stato spiegato anche da tutto il commercio che in quelle epoche se ne doveva fare; intere rotte commerciali dedicate al Diamante così come lo conoscevano: impuro e grezzo.
No, doveva essere certamente qualcosa di più. Dunque si giunse persino a fare delle speculazioni sulle qualità di interesse metafisico di questa pietra e sulle sue caratteristiche magico-religiose.
Con il diffondersi del Cristianesimo e a partire dal secolo I d.C. il Diamante venne depauperato di ogni considerazione relativa al suo valore assoluto e iniziò un lento decadimento anche del suo significato “gemmologico” , per ciò che tale termine poteva significare a quei tempi , tanto che in certi schedari veniva collocato addirittura al ventesimo posto nella scala delle pietre preziose.
E’ abbastanza chiaro, se non altro a livello intuitivo, che il Cristianesimo diminuì il valore attribuito al Diamante proprio in memoria dei contenuti metafisici che esso esprimeva, certamente pagani e comunque al di fuori di ogni speculazione cristiana o prettamente devozionale.
Questo decadimento fu lento e graduale, tanto che ebbe ripercussioni anche commerciali fino a oltre il Settecento; lo stesso Benvenuto Cellini, il famoso orafo e scultore morto nel 1571, collocava nel suo Trattato di Oreficeria il Diamante ben dopo il Rubino e lo Smeraldo.
Il Diamante fu destinato a riacquistare il suo splendore effettivo anche nell’immaginario popolare solo con il raffinarsi delle moderne tecniche di taglio.
Oggi, infatti, il mondo diamantifero conta quattro Paesi principali per il taglio, che sono il Belgio, Israele, l’India e gli Stati Uniti d’America; tra gli altri Paesi con centri di taglio segnaliamo invece Francia, Indonesia, Olanda, Tunisia, Germania, Thailandia, Sri Lanka, Brasile, Puerto Rico, Giappone, Malesia, Russia, Cina, Taiwan, Sud Africa, Portogallo, Filippine, Santo Domingo, Haiti, Australia, Tanzania, Isole Mauritius, Malta, Inghilterra e Corea del Sud.
Se il Cristianesimo contribuì a spogliare il Diamante di ogni suo significato spirituale o metafisico in genere, nel mondo indiano, pressapoco nella stessa epoca, non era certamente così.
Luoghi magici per chi li frequentava con alla base un interesse culturale, essi potevano sembrare un vero incrocio aggrovigliato di interessi e infrastrutture minerarie per chi ci lavorava, con giurisdizioni, rotte commerciali e legislazioni specifiche.
Lungo le antiche vie commerciali, l’India visse sotto il controllo di varie dinastie di dominatori, anche se di tutto questo ben poco si sa. Ben di più è noto alle cronache, invece, riguardo la nascita di centri commerciali del mondo moderno, fasi storiche che, attraverso l’economia e lo sfruttamento delle risorse dei luoghi di origine, portarono alla nascita, a partire dal tardo secolo XIII, di Bruges, di Venezia, di Lisbona, di Amsterdam e soprattutto di Anversa quali centri operativi di livello e risonanza mondiale, anche se oggi sembra essere tutto finito.
Fino al secolo XVIII la famosa Compagnia delle Indie Olandese forniva le necessarie impostazioni per gli esperti tagliatori di Amsterdam, ma negli anni successivi al 1650 la Compagnia perse l’occasione di stabilire un monopolio su quelle merci per spostarsi verso il Brasile fino a quasi tutto il secolo XIX , epoca della fine del grosso sfruttamento, che costituirà una zona ricchissima di giacimenti diamantiferi.
Uno di questi luoghi di ritrovamento dei Diamanti è il Sud Africa, dove lo sfruttamento del sottosuolo ha una data di inizio risalente a poco più di un secolo fa.
Il motivo principale di questa individuazione sono le rotte e le strade obbligatorie che si incontravano al Capo di Buona Speranza, direzione logica per tutti coloro che erano in rotta da e per le Indie Orientali, per cui già da secoli era stato immaginato come una terra ricca di giacimenti di pietre e metalli preziosi e pensato proprio quale valida opportunità per un’esplorazione oculata a fini economici.
Oggi la produzione di Diamanti a livello mondiale non è solo concentrata in paesi quali il Sud Africa o l’Asia, ma contempla luoghi quali la Russia e la Repubblica Democratica del Congo, l’Australia, il Venezuela, la Tanzania, la Sierra Leone e il Botswana. Diremo inoltre che non si conta, tra le quantità di produzione stimate in carati, tutta la gamma delle quantità di Diamanti Industriali che, pur ammontando a livello globale a più del 70% del totale, non sono comparabili in termini di valori espressi in fatturati commerciali di gioielleria rispetto ai Diamanti Naturali.
In ogni modo, nell’antichità l’India fu l’unico Paese in cui fiorì un vero e proprio culto per il Diamante; fu d’altronde anche l’unica civiltà che associò il cristallo alla protezione o comunque al patrocinio di un dio.
Infatti, Visnù, il dio del cielo, una divinità uranica molto simile al greco Urano, regnava su ogni cristallo, e il trattato Ratnapariska di Buddhabhatta li presentava come colorati, aggettivando in lingua sancrita ogni cristallo sacro con il termine kùdali, di cui non esiste sostanzialmente traduzione.
Le proprietà sacre che sono attribuite al Diamante da Buddhabhatta con parole simili a queste:
…colui che porta un Diamante vedrà i pericoli allontanarsi da lui, che lo minaccino i serpenti, il fuoco, il veleno, la malattia, i ladri, le inondazioni o gli spiriti maligni.
Queste parole consentirono certamente ai mercanti indiani di contrattare favorevolmente scambi commerciali con il mondo romano.
E poi il Diamante come talismano.
Certo, una tradizione che, nonostante l’opera distruttiva del Cristianesimo, soprattutto quello dei primi secoli, sopravvive anche oggi. Infatti, sugli influssi benefici o simbolicamente taumaturgici del Diamante abbiamo conferma anche dalle fonti più strane, non solo appartenenti alla pura tradizione cristiana, come per esempio il Dizionario Infernale o Repertorio Universale, edito a Torino in 8 volumi nel 1867, che dice:
La superstizione gli attribuiva una volta meravigliose virtù contro i veleni, la peste, i terrori panici, le insonnie, i prestigi e gli incantesimi. Esso calmava la collera e manteneva la buona armonia fra gli sposi: tanto che gli aveva fatto attribuire il nome di pietra di riconciliazione. Il Diamante godeva inoltre della proprietà talismanica di rendere invincibile colui che lo portava, purché vi fosse scolpita, sotto l’influenza del pianeta di Marte, la figura di questo dio, ovvero quella di Ercole vincitore dell’Idra. Si andò fino a pretendere che i Diamanti generassero altri Diamanti: e Roero parla colla massima serietà di una principessa di Lussemburgo, la quale possedeva Diamanti ereditari che altri ne producevano in certe determinate epoche.
Tutto quanto sopravvive dalla storia del Diamante è contenuto nelle tradizioni connesse con il viaggio di conquista di Alessandro Magno in India dell’anno 327 a.C.; anche se non ci sono prove che alcun soldato greco sia mai venuto in possesso , o abbia anche solo riconosciuto , un Diamante, e a conferma di ciò ci sono il Romanzo di Alessandro e alcune parti del Lessico Suida, le tradizioni o, meglio ancora, le leggende che si sono sviluppate sulla campagna militare di Alessandro Magno in India sopravvivono ancora oggi e contribuiscono e formarne la fama incontrastata. Un autore greco, vescovo di Salamina e metropolita a Cipro, tale Epifanio, scrive nel IV secolo d.C. una storia di Diamanti più o meno in questi termini:
Nel deserto degli Sciti c’è una valle profonda, circondata da alte montagne di roccia. Dall’alto non è possibile scorgerne il fondo, che si perde nelle nebbie, quasi in profondità insondabili. I re dei paesi limitrofi mandano la loro gente sulle montagne che costeggiano questa valle, ad estrarre i tesori di pietre preziose che giacciono in grandi quantità nelle profondità più remote. Ma per riuscirvi, costoro devono essere furbi: uccidono e scuoiano alcune pecore, poi ne gettano le carni sanguinanti nell’abisso, ove giacciono quegli immensi tesori. Ben presto le aquile escono dai loro nidi, piombano attraverso le nebbie sulla carne, l’afferrano e la portano ai loro nidi. Le pietre preziose aderiscono alla carne e gli uomini del re non hanno che da impadronirsi dei nidi degli aquilotti per raccoglierle.
Una simile leggenda godette di ripercussioni incredibili in tutto il mondo europeo e medio asiatico fino almeno al 1300. Infatti, venne ripresa dallo Pseudo- Aristotele nel più antico trattato di mineralogia in lingua araba, circa della metà delI’VIII secolo, in cui si parla anche di Alessandro Magno.
Il testo parla solo di Diamanti e lo fa in questi termini:Nessuno, ad eccezione del mio discepolo Alessandro, ha mai raggiunto la valle dove si trovano i Diamanti. Essa si trova in oriente, lungo il vasto confine del Khorasan, ed è così profonda che l’occhio umano non ne vede il fondo.
E’ a questo punto che l’autore , o gli autori, trattandosi dello Pseudo-Aristotele , non risparmiano immagini orrifiche come per esempio i serpenti dallo sguardo letale posti a guardia del pozzo.
Infatti si dice continuando:
Quando Alessandro arrivò nella valle, una moltitudine di serpenti gli impedì di proseguire, perché il loro sguardo faceva morire gli uomini. Egli ricorse quindi all’uso di specchi: i serpenti, osservando il riflesso dei propri occhi, perirono. Alessandro adottò allora un altro stratagemma: fece uccidere e scuoiare delle pecore e gettare le loro carni nell’abisso. Gli uccelli predatori calarono dalle montagne circostanti e portarono via tra gli artigli la carne, alla quale aderivano innumerevoli diamanti. I guerrieri di Alessandro diedero allora la caccia agli uccelli, che lasciarono cadere il bottino e gli uomini non dovettero far altro che raccoglierlo dove era caduto.
Questa storia è ripresa anche dalla famosa raccolta intitolata Le Mille e una notte, dove si parla dei viaggi di Simbad il Marinaio e nel Milione di Marco Polo del 1298. Marco Polo parla di questa tradizione che, nata praticamente nel IV secolo, cioè in età ellenistica, comunque arrivò anche in Cina e in Estremo Oriente, per poi risalire in Europa attraverso il mondo arabo. Risultano verità il fatto e la considerazione storica che rendono questa storia una specie di mito, anche se non tra i più antichi. Ci sono infatti altri riferimenti a credenze più vecchie e maggiormente ricche di significati mitologici, antropologici e storici.
Plinio il Vecchio parla, ad un certo punto della sua Naturalis Historia, di guerra e di pace e di quelle che egli chiama con la sua ingenuità prescientifica “simpatia e repulsione” tra gli oggetti naturali , in pratica i fenomeni del magnetismo naturale , citando il fuoco e l’acqua, alcuni metalli e i magneti, e parla anche del Diamante.
Egli pone la pietra in rapporto con il sangue di capro e dice così:
II Diamante, questa rara gioia data dall’opulenza, invincibile e resistente ad ogni altra forma di violenza, può essere frantumato dal sangue di un capro.
Più avanti, dice che il Diamante è espressione di una forza invincibile e che costituisce un raro esempio pratico di come la natura sia in grado di conciliare perfettamente le leggi dell’armonia che governano l’universo. Leggiamolo:
Questa forza invincibile che ha in spregio i due elementi naturali più potenti, il ferro e il fuoco, viene frantumata dal sangue del capro, ma solo quando il Diamante sia stato immerso nel sangue fresco e ancor caldo dell’animale e poi colpito ripetutamente, poiché anche allora esso è capace di infrangere ogni cosa salvo le più solide incudini e i più forti martelli di ferro.
Attenzione: questa interpretazione forzata e un po’ idealizzata degli equilibri naturali ha provocato eco e degna ripercussione fino a tutto il secolo XVIII, tanto che ampi riferimenti si trovano sia in Torricelli che in Lavoisier. E’ chiaro il perché:si parla del sangue di capro, l’animale più basso e spregevole all’epoca, e del Diamante, la pietra più dura, simboli l’uno della bassezza morale e l’altro del carattere indomito.
Non si può, naturalmente, spiegare tutto, comprese quindi le varie tradizioni cristiane che ne usarono le simbologie, in termini esclusivamente naturalistici, ma è pur vero che qualche cosa è rimasto, ad esempio nella figurazione evangelica del cuore puro e indomito che sconfigge, proprio grazie alla sua durezza, la carne e i desideri che essa sa scatenare per l’uomo.
Il rapporto tra il Diamante e i corpi magnetici, inteso nel senso che il Diamante era in grado di smagnetizzarli, è ben più difficilmente spiegabile. Non è facile nemmeno capire perché una simile proprietà venga citata non solo da Plinio ma anche nel Gargantua et Pantagruel di François Rabelais, implicata in un assurdo meccanismo di porte automatiche richiudibili dall’attrazione esercitata dai magneti e in cui il Diamante fungeva da chiave, nel senso che la sua presenza ne impediva il richiudersi. Non si sa praticamente nulla a questo proposito, e ci si perde nella scienza e nelle ipotesi pregalileiane e rinascimentali.
Come è noto, in India le osservazioni effettuate in natura erano comunque molto accurate, e le misurazioni erano naturalmente precise, per quanto potessero esserlo considerati gli strumenti disponibili per quella funzione. Si parlava, ad esempio, in riferimento ai Diamanti, di “leggerezza specifica”, dal termine sanscrito , passato anche in hindi moderno come parola tadbhùva, cioè parola moderna imprestata dal sanscrito, laghu. I trattati principali a cura di Buddhabhatta e Varahamihira , sono datati fino al VI secolo d. C., e individuano in tal modo la pietra grezza, al massimo sbozzata a quattro angoli.
In quei trattati si parla di Diamanti che “galleggiano sull’acqua”, tenendo presente che il peso (massa) calcolato in carati del Diamante è di un quinto inferiore a quello del comune grammo, tanto che 1 carato = 0.2 grammi e che questo poteva quindi anche essere possibile. Tuttavia, le pietre che gli indù potevano avere a disposizione erano sicuramente grezze, quindi non è così chiaro come potessero galleggiare a meno che non avessero forma appiattita, cosa che però ci rende dubbiosi perché cristalli di simile forma sarebbero stati scartati subito.
Allora, nella considerazione delle tradizioni e delle storie che ad esse sono connesse, è bene tener presente che spesso gli autori utilizzano immagini ardite, magnificando simboli religiosi e proponendo sintesi non proprio , o non sempre , razionali.
II concetto di laghu, non ulteriormente definibile, trasse comunque partito per fondare una tradizione più che secolare di pesi e misurazioni.
Infatti tale sistema di valutazione trovò più tardi nell’Agastimata solida interpretazione applicativa; questo è un trattato di interesse commerciale scritto qualche secolo dopo il IV secolo ma in epoca imprecisata.
Eccone un breve esempio:
parlando naturalmente di un Diamante perfettamente trasparente , a occhio nudo, evidentemente,vista l’epoca , e a forma ettaedrica, si indicava un ottimale rapporto tra una densità tre (pinda), volume tre (yava) e peso tre (tandula).
In un siffatto sistema applicativo si può anche agevolmente comprendere come al Diamante fosse legato anche il sistema delle caste; infatti, alle caste sociali i Diamanti erano legati soprattutto in relazione al colore. La casta sacerdotale, i bramini,potevano possedere Diamanti incolori o, volgarmente detti, bianchi;
i Vùisya, o proprietari terrieri, potevano averne di gialli;
gli Ksatrùya, o cavalieri , guerrieri, ne possedevano solo di rossi, con cui potevano ornare guaine e spade, foderi e gualdrappe;
infine, i Diamanti grigi e marroni erano riservati ai Sudra, o artigiani, proprio perché avevano il colore del ferro e quindi degli arnesi da lavoro.
Naturalmente, tutte queste appartenenze risultano essere di fatto simboliche perché un artigiano, per esempio, non avrebbe mai potuto possedere un che, pur essendo valutato circa un quarto di meno del valore di un Diamante bianco, costava più o meno sempre come duecento mesi del suo stipendio. I militari ne dovevano possedere in gran quantità, invece, perché venivano pagati bene per assicurarsi la loro lealtà e fedeltà, e poi perché tante volte, essendo pagati in natura,erano in grado di impossessarsi di enormi quantità di Diamanti rossi.
Poi è necessario sapere un’altra cosa importante: molti minerali erano spacciati per Diamanti e in realtà non lo erano. Ad esempio, il Diamante grigio in molti casi poteva essere senz’altro Magnetite, un ossido ferroso naturalmente disposto nella forma ettaedrica e con in più proprietà magnetiche;
Diamanti neri potevano essere benissimo della Siderite e quelli rossi Spinello rosso, di qualità fisiche entrambi simile al Diamante.
Se l’India è e resta , in base ai documenti fino ad oggi pervenutici , il più antico paese produttore di Diamanti, è bene conoscere anche attraverso quali vie o più probabilmente “rotte” commerciali essi siano giunti fino in Europa. Come al solito, le fonti non solo sono scarse oppure di scarsa reperibilità, ma sono addirittura inesistenti in riferimento a certuni periodi.
Un grande aiuto ce lo danno i lapidari indiani: certamente la piana del fiume Gange fino a Calcutta (oggi Kolkhata) era una regione privilegiata per lo scambio e il commercio delle pietre preziose, anche perché Calcutta era situata nelle vicinanze dei giacimenti più ricchi, per cui ciò appare abbastanza plausibile; a conferma troviamo il Ratnapariska di Buddhabhatta che ne parla come fosse un dato certo e sembra possibile che, sicuramente dopo il secolo X d.C., i Diamanti giunti fino a noi lo siano attraverso gli Arabi, cioè attraverso i territori delle attuali regioni del Medio Oriente, ricche anche allora di piste battute e di infrastrutture di assistenza per i mercanti e i viaggiatori.
Questo è vero perché anche i lapidari che ci sono pervenuti, con i loro dati relativi alle tariffe di scambio e ai prezzi Diamanti imposti nelle varie epoche, ci consentono di credere che fin dai tempi più antichi vi sia stata in India una produzione di Diamanti costante e su vasta scala.
Una cosa importante è che, in relazione al tipo di taglio applicato a quelle produzioni, si trattasse essenzialmente di pietre appena sbozzate, quindi tagliate in modo abbastanza rudimentale.
Un probabile declino dei traffici di Diamanti attraverso le alture del Punjab e il Mediterraneo avvenne nel secolo della caduta dell’Impero Romano d’Occidente, avvenuta con la deposizione da parte di Odoacre, re degli Eruli che ricevette il governo dell’Italia dalle mani dell’Imperatore dell’Impero Romano d’Oriente, Zenone, del sedicenne Romolo Augustolo, ultimo degli Imperatori Romani, nell’anno, un po’ convenzionale, in verità , 476 d.C. , per riprendere però, dopo alcuni secoli di vuoto, proprio con l’avvento delle grandi Repubbliche marinare che in un breve periodo riuscirono a riallacciare i rapporti commerciali con Alessandria d’Egitto, Costantinopoli, Tiro e le altre Città sul Mediterraneo, posti nei quali arrivavano le merci dall’Oriente attraverso il Golfo Persico e il Mar Rosso.
Poco cambiò quando, nel secolo XV, il navigatore Vasco da Gama aprì la via europea alle Indie doppiando il Capo di Buona Speranza. Tornò allora in auge, viste le grandi quantità di cui l’Europa era in grado di approvvigionarsi, il Diamante come talismano e in generale come oggetto di culto e di ammirazione.
Ritornando alla storia, vari secoli più tardi, altri testi cinesi citano come luogo di provenienza Bisanzio, chiamata Ta T’sin. Del resto, fino al III secolo d.C. risultano documentati i rapporti commerciali tra India e Cina.
Comunque sia, se è vero che l’India , e in definitiva tutto l’Estremo Oriente , è il territorio più importante per l’estrazione ed il commercio dei Diamanti , si parla addirittura di un commercio nell’antichità che segnava una produzione complessiva di 30 milioni di carati , nulla ci è consentito sapere, però, delle metodiche di estrazione dei Diamanti, tanto che la prima descrizione di miniere indiane si ha nel 1676 con la pubblicazione a Parigi del libro Le Six Voyages de j.B. Tavernier en Turquie, in Perse et aux Indes, pubblicato e tradotto quasi subito in italiano, in inglese e in tedesco.
Jean-Baptiste Tavernier (1605-1689), definito il padre del moderno commercio di Diamanti, era principalmente un mercante di pietre preziose, ma i suoi resoconti sono particolarmente ricchi di particolari non solo di interesse commerciale, ma anche sociale ed etnografico.
Questo personaggio aveva visitato tutti i Paesi europei già quando aveva compiuto solo vent’anni perché intraprese il suo primo viaggio in Oriente nel 1631. In seguito compì altri cinque viaggi non solo in India ma anche in Turchia, in Persia e in Asia Centrale.In India, fra le miniere che egli potè visitare, ci sono le tre principali dell’epoca, chiamate Roalconda, Gani Coulor e Soumelpour, luoghi che trovano rispondenza perfetta con luoghi attuali in cui si trovano miniere e caverne abbandonate.
Una credenza molto diffusa all’epoca di queste grandi descrizioni, effettuate non solo dal Tavernier, ma anche da un medico portoghese, Garcia ab Horto e da un altro medico, archiatra dell’Imperatore Rodolfo II d’Asburgo, tale Anselmus de Boot insieme con un altro belga, Joannis de Laet, consisteva nel fatto che si pensava che, una volta terminato un filone di estrazione, dalla roccia emergessero altri Diamanti così, quasi per geminazione naturale. Infatti, il ab Horto scrive: Quando le gallerie, che sono alte quanto basta perché un uomo possa lavorarvi, appaiono sfruttate, vengono abbandonate; ma sono poi riaperte trenta o quarant’anni dopo, poiché nel frattempo si sono formati nuovi Diamanti.
Questa storia delle gallerie a cielo aperto e molto profonde è abbastanza vecchia perché la riporta anche il navigatore greco Eudosso nel secolo II a.C. con queste parole:
…gallerie scavate in profondità in India.Tra l’altro, il de Laet descrive anche il numero delle persone impiegate nel lavoro di estrazione: più di 30.000 persone per arrivare alla cifra di 60.000 per stare aduna descrizione di Tavernier riferita al 1650.
Certo, sappiamo oggi che questo modo di apparire alla superficie dei Diamanti testimonia di una certa metodologia di sfruttamento del terreno, scavando quindi astrati e a livelli, aiutati anche dall’erosione prodotta dalla pioggia e dagli agenti atmosferici.
Questo accordo tra le tecniche adottate dall’uomo e i ritmi della natura condizionò tutto lo sfruttamento dei giacimenti diamantiferi fino a quasi tutto il secolo XIX. Per ottenere risultati apprezzabili in termini di produzione, era necessario attaccare e , qualora si trattasse di giacimenti fluviali , passare letteralmente al setaccio tonnellate di materiale. Ciò innanzitutto implicava enormi impieghi di energie e di manodopera, anche se lo si faceva in modo abbastanza agevole perché non è che costasse granché.
Allora, il cosiddetto “periodo di riposo” tra una escavazione e l’altra consentiva agli agenti atmosferici di erodere i terreni e di portare alla luce nuovi Diamanti o quantomeno nuovo materiale scavabile.
Le pagine di questi diaristi ci consentono inoltre di stabilire che, per esempio in India, già nel 1500 si operava scavando nella roccia, e non già solo ricercando i Diamanti nei depositi alluvionali.
Ritornando in Occidente, per tutto il secolo XIII Venezia costituì un importante centro per la diffusione del Diamante in Europa e in Italia; le pietre facevano l’ultimo scalo a Hormuz, nel Golfo Persico, e poi ad Aleppo in territorio arabo.
Venezia stabilì da subito ottimi rapporti diplomatici con gli arabi (il termine arabo per chiamare la città letteralmente significa “la fuciliera”) e, dopo la quarta crociata, divenne in effetti la più importante repubblica commerciale d’Europa e il più famoso nodo di smistamento di merci e di collegamenti tra Europa e Oriente.Risulta chiaro che, alla luce di un così sviluppato mercato di Diamanti diffuso in tutto l’Occidente cristiano, sia anche nata nel prosieguo del secolo XIII una fiorente attività “industriale” che segnò una specie di predominio commerciale legato quasi esclusivamente sempre alle solite grandi città marinare.
Del resto, nella storia delle civiltà è sempre stato così: i centri di commercio e di cultura più importanti sono nati nei punti in cui geograficamente esisteva un’approdo, proprio in quanto in quei posti attraccavano le navi provenienti dalle lande più desolate e lontane.
Pensiamo ad esempio alla nascita del pensiero filosofico occidentale: i primi pensatori, chiamati anche “fisici ionici”, tra cui spicca il greco Talete, nacquero Tiziano Dall’Omo e Gianni Bizzotto che svilupparono il loro talento speculativo proprio a Mileto, che era un porto di mare dove era facile e abbastanza frequente scambiare osservazioni, punti di vista e opinioni con chiunque. E accade anche oggi; gli abitanti delle città di mare in genere sono molto ospitali e ciarlieri, forse per l’influenza di quella convinzione e quel pensiero di reciproco aiuto che li accomuna.
Soprattutto dal secolo XIV l’Europa vede in Venezia il più grosso centro commerciale per i Diamanti, ma i grossi quantitativi venivano spediti anche oltrecortina, per esempio a Bruges, in Belgio, dove era nata da poco una grande scuola di taglio praticata quasi esclusivamente dagli orafi, benché gli artigiani tagliatori si unificassero in corporazioni solo molto più grandi.
Ed anche per questo motivo che Bruges, con i suoi canali , caratteristica del resto comune a molte città del Nord Europa , fu chiamata per prima la “Venezia del Nord”, nome che oggi appartiene ad Amsterdam.
Nessuno sa con precisione chi abbia inventato per primo la tecnica del taglio, ma vi sono fonti abbastanza sicure che ci consentono di col legare la sua nascita a Bruges attorno al 1480.
Jan Walgrave, nel suo libro intitolato Storia dei Diamanti ad Anversa colloca la causa del decadimento civile e commerciale di Bruges relativamente all’interramento del fiume Zwyn. Tutto si trasferisce ad Anversa dunque, ed una famosa ordinanza della metà del 1400 recita così:
“nessuno può acquistare, vendere, dare in pegno o comunque disfarsi di una pietra falsa, sia che si tratti dell’imitazione di un Diamante o di un Rubino, di uno Smeraldo o di uno Zaffiro, senza incorrere nell’ammenda di 25 Ducati, di cui un terzo destinato al sovrano, un terzo alla città e un terzo a chi denuncia il fatto”.
E’ chiaro che l’epoca delle grandi conquiste geografiche consentì la creazione di una specie di asse commerciale tra Anversa e per esempio Lisbona. Questo proprio perché molti Diamanti grezzi approdavano in carico a Lisbona provenendo dall’India con navi che avevano doppiato il Capo di Buona Speranza.
E’ da lì che nasce anche il moderno sistema di finanziamento delle attività minerarie da parte delle più grandi banche europee, tra cui i Fugger di Augusta e i Bardi e Peruzzi di Firenze, famosi ancora fin dall’epoca del Boccaccio. Ma poi parteciparono anche altre banche, tra cui la banca Welser sempre di Augusta e molti altri eminenti finanziatori privati, tra cui il Pirkheimer, benefattore e mecenate del famosissimo pittore e incisore AIbrecht Dürer.
Il successo che accompagnò la città di Anversa continuò per molto tempo, tanto da assicurarle un predominio commerciale che la indica ancor oggi come il maggior centro mondiale per il commercio dei Diamanti a taglio finito.
Diamante Simbologia
Per la Simbologia Diamante questa gemma è il simbolo di universale governo delle cose, di realismo assoluto e di purezza incorruttibile.
Un simbolo che significa origine.
Il simbolo, e il fatto che il Diamante sia stato assunto quale simbolo di qualcosa, è importante. Il famoso pittore Paul Klee disse che intuire il valore di un simbolo significa essere trasportati verso le insondabili profondità del respiro primordiale e mettersi in contatto con la parte invisibile della natura.
Una posizione ricca di conseguenze.
Plinio il Vecchio diceva che il Diamante rendeva innocui i veleni e le malattie, allontanava la malvagità e faceva dimenticare i brutti sogni e gli incubi.
L’India antica fa coincidere il Diamante con la pietra primigenia e filosofale,simbolo di chiarezza di pensiero e del suo fertile irraggiamento: di Diamante è fatto il trono di Buddha. Il filosofo greco Platone riteneva che l’asse reggente del mondo fosse costituito di Diamante e proprio in India gli fa eco l’attribuzione delle caratteristiche del Diamante a Visnu, perché essendo questa pietra un tesoro dell’Oceano e nascendo mitologicamente dalle acque, percorre in risalita tutti i gradi della materia.
Nella cultura giudaica antica, il Diamante posto sul petto del sacerdote di Gerusalemme testimonia la verità.
In definitiva possiamo dire che il Diamante, da solo o montato con l’Oro in forma di gioiello, rappresenti un passaggio per la nostra immaginazione verso l’ignoto dell’interiorità,verso la conoscenza segreta e immobile da secoli della Verità che sempre fugge.
E’ chiaro che la prima cosa che attrae l’occhio verso il Diamante è il colore, ma dobbiamo dire che vi sono ben altre proprietà caratteristiche di questa pietra dura, tutte di natura ottica, che si impongono ad un’analisi più approfondita;solo con l’ analisi dei resti del taglio di un Diamante Primigenio si possono avere dati concreti sulla sua struttura e come si forma un Diamante. Parlare per ora di indice di rifrazione molto elevato, di dispersione, di lustro, di scintillio e di riflessione totale, può essere addirittura riduttivo, ma sono questi i termini attraverso cui si esprime tutta la capacità del Diamante di evidenziarsi come la più affascinante delle pietre preziose.